La mafia dei Casamonica, l’erba cattiva che ha infestato Roma

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Al processo si è arrivati dopo gli arresti compiuti dai Carabinieri nell’ambito dell’indagine ‘Gramigna’, coordinata dal procuratore di Roma Prestipino e dai sostituti procuratori Musarò e Luciani.

a famiglia di ‘zingari’ italiani a gruppo che, solo nominandone il cognome, fa tremare i palazzi. Una ascesa lunga, dirompente, violenta. In pochi gli davano credito eppure loro se lo sono preso da soli. Illegalmente. I Casamonica fanno paura, il clan è mafia.

Lo ha stabilito la sentenza dei giudici del processo davanti alla Decima sezione penale del tribunale di Roma nell’aula bunker di Rebibbia. La sentenza, dopo sette ore di camera di consiglio e che ha condannato 44 imputati con accuse che vanno a vario titolo dall’associazione mafiosa dedita al traffico e allo spaccio di droga, all’estorsione, l’usura e detenzione illegale di armi, è figlia dell’operazione Gramigna.

I Casamonica come la Gramigna

Un nome emblematico, come spiegò il tenente colonnello del Gruppo Carabinieri di Frascati Stefano Cotugno: “La Gramigna è una erba infestante, detestata dai contadini poiché ovunque si diffondeva, proliferava velocemente e rovinava le colture. Una pianta che si insinua tra le erbe buone ed è difficile da estirpare”. L’accostamento allo stile dei Casamonica è facile farlo.

Nel corso degli anni il clan, è proprio il caso di dirlo, si è fatto strada. Spaccio, estorsioni e usura il business principale del gruppo criminale. Come un’erba infestante si è insinuata nelle radici della città, dalla periferia al centro.

L’ascesa del clan

La sentenza del 20 settembre – le cui motivazioni sono attese nei prossimi giorni – arriva dopo una serie di blitz e arresti che hanno scoperchiato gli affari del clan, grazie anche alla collaborazione delle vittime che sembrano avere meno paura.

Un grande effetto domino, soprattutto dal punto di vista dei pubblici ministeri e degli investigatori, che ha avuto la decisiva accelerata dopo l’eclatante raid al Roxy Bar con le immagini delle videocamere di sorveglianza che hanno ripreso tutto. Da lì le prime accuse tutte aggravate dal metodo mafioso.

Per anni dall’Anagnina alla Romanina, da Cinecittà al Tuscolano, chi non si piegava alla famiglia subiva ritorsioni. Ora il “qui comandiamo noi” fa un po’ meno paura. Il funerale show di Vittorio Casamonica e le ville in stile Scarface con cavalli dorati e troni non fanno più sorridere.

Chi si è ribellato al clan

L’operazione Gramigna è stata un duro colpo per la famiglia sinti, anche grazie a Debora la ‘gagè’ ribelle della famiglia che ha svelato le logiche del clan. Una figura che ha raccontato non solo, nel dettaglio, il business illegale dei Casamonica, ma anche i ruoli, dei capi e soprattutto delle donne.

E che le vittime, nel corso degli anni, abbiano preso coraggio, lo ha dimostrato anche la storia di Ernesto Sanità, che si ribellò al clan dopo aver subito l’occupazione della sua casa Ater per un debito di droga contratto dal figlio. Una vicenda raccontata proprio tra le carte dell’operazione Gramigna.

Casamonica è mafia

Tra le ordinanze delle ultime operazioni succedute in questi anni si leggono altre pesanti accuse come il collegamento con gli Spada, il rapporto con Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, gli affari per importare la droga dei Narcos e come Porta Furba viene riconosciuta roccaforte della famiglia.

Nelle carte dell’operazione Gramigna che ha certificato l’etichetta di “mafia” al clan, emerge pure come vicolo di Porta Furba, una strada chiusa di circa 250 metri, sia la loro roccaforte. Si entra, forse, solo se “autorizzati”. Per la Procura e i giudici non ci sono dubbi.

Dopo la maxi operazione Gramigna, gli inquirenti hanno aumentato la pressione sul clan. Le indagini, che continuano sempre, non si sono mai fermate. Altre porte sono state aperte e collegamenti sono stati svelati. L’Operazione Gramigna 2 ha rivelato come, oltre alle consuete tecniche usuraie, gli appartenenti al clan, per strozzare i commercianti, hanno messo in pratica anche la tecnica del “mancato guadagno”.

Fonte: RomaToday