
Cercasi con urgenza appartamenti per ospitare le famiglie rom in uscita dai campi. Alloggi per singole famiglie o in “strutture in regime di condominio sociale”. A Roma, ma non solo. Se nella Capitale non si trovano strutture, i nuclei familiari potranno essere trasferiti anche nelle altre province del Lazio. Eccolo, l’oggetto del bando di gara pubblicato dal Comune il 23 dicembre scorso e in scadenza il 15 gennaio. Ultimo disperato tentativo dell’amministrazione Raggi di chiudere i campi, dopo anni di risultati scarsi se non nulli e un piano rom licenziato nel 2017 che, a conti fatti, non ha funzionato.
Educazione domestica e alloggi temporanei
E allora è caccia in fretta e furia a organismi operanti nel sociale che mettano a disposizioni alloggi garantendo allo stesso tempo, per un periodo di 24 mesi, un servizio di accoglienza diffusa centrata, si legge nel bando, “sul sostegno all’inclusione attiva e all’accompagnamento educativo e di integrazione sociale”. Nel servizio il Comune richiede anche progetti di “educazione domestica” per le famiglie. E percorsi, non specificati nei contenuti, che siano dedicati a mamme e papà e mirati a “sviluppare un’adeguata funzione genitoriale”.
I dettagli del bando
Il bando è composto da tre lotti per un totale di 60 posti. Il primo comprende i municipi I, II, III, IV, V e l’area regionale Rieti -Tivoli, il secondo i municipi VI, VII, VIII, IX, X e le province di Latina e Frosinone, il terzo i restanti municipi XI, XII, XIII XIV, XV e l’area Civitavecchia-Viterbo. L’operazione costa all’amministrazione comunale la cifra di 1 milione e 785mila euro, valore dell’importo a base d’asta, e interessa le famiglie che abitano nei campi rom della Capitale. Raggi, ormai in piena campagna elettorale, le vuole fuori dalle baraccopoli entro il 2022. Così prevederebbe il Piano rom varato nel 2017 che però non ha portato i risultati sperati. Da qui la caccia a soluzioni alternative.
Il piano rom fallito
Sia il “buono affitto” che i rimpatri nei Paesi europei d’origine, due misure chiave del suddetto piano, si sono rivelate un fallimento. Gran parte dei nuclei vive ancora nei container e i campi sono più che aperti. Tocca accelerare quindi, ripartendo però da zero. Con il piano rom del 2017 era stato affidato a enti umanitari la gestione del percorso di fuoruscita dai campi. Prevedeva per le famiglie di trovare alloggi in autonomia e percorsi di formazione lavorativa con stage e tirocini. Nella sostanza la stessa cosa che si va a fare oggi seppur con differenti modalità. Si cercano enti terzi che accompagnino i rom verso “l’autosufficienza”. Un’ammissione di fallimento da parte dell’amministrazione M5s che sembra quasi azzerare le poche azioni portate avanti in questi anni.
Fonte: RomaToday